Nel gelo dell’abbandono, un uomo anziano scopre un calore inatteso quando tutto sembrava perduto.

Advertisements

 

Milano, periferia. La neve cadeva fitta come se il cielo volesse cancellare ogni traccia del mondo. Su una panchina gelida, avvolto in un cappotto consunto, sedeva un uomo anziano, lo sguardo perso tra i fiocchi che si posavano senza fretta. Si chiamava Giovanni, e non aveva più un posto da chiamare casa.

Advertisements

Fino a quella mattina, era stato un padre, un costruttore di sogni, un uomo che aveva messo ogni briciolo di sé nei muri che ora non gli appartenevano più. Suo figlio, Lorenzo, lo aveva guardato con occhi duri e voce decisa.

— Papà, non c’è più spazio. Giulia ed io abbiamo bisogno di privacy. Con la tua pensione puoi permetterti una stanza da qualche parte, no?

Giovanni non aveva risposto. Non era stata solo la frase a spezzarlo, ma l’assenza totale di rimorso. L’indifferenza. Le carte firmate tempo prima, in un gesto ingenuo di fiducia, erano ora catene che lo escludevano da ciò che era sempre stato suo.

Aveva preso il vecchio cappotto e, senza una parola, se n’era andato. Non per rabbia. Ma per qualcosa di più sottile e amaro: la consapevolezza di non essere più voluto.

Ora, nel parco, la solitudine pesava quanto il gelo. Il freddo lo mordeva, ma era il vuoto dentro a far più male.

Poi, un contatto.

Una zampa calda, gentile, si posò sulla sua mano irrigidita. Giovanni alzò lo sguardo. Davanti a lui c’era un cane, un grosso meticcio dal pelo scuro e dagli occhi profondi, quasi umani.

— Sei venuto a cercarmi? — mormorò, mentre il cane gli scodinzolava davanti, stringendo tra i denti l’orlo del suo cappotto.

Senza sapere perché, Giovanni si alzò e lo seguì. Camminarono insieme tra le strade innevate, finché il cane si fermò davanti a una piccola casa con la luce accesa dietro le tende.

La porta si aprì.

— Barone! Ma dove ti sei cacciato? — disse una donna con uno scialle sulle spalle. Poi vide Giovanni, tremante. Il suo volto cambiò.

— Santo cielo, venga dentro, subito!

Lo aiutò ad entrare, e il calore della casa lo avvolse come un abbraccio dimenticato. Profumo di caffè, pane caldo e cannella. Giovanni chiuse gli occhi per un momento, come se il mondo intero si fosse fermato.

La donna tornò con una tazza fumante.

— Mi chiamo Chiara. E lei?

— Giovanni…

— Barone non porta mai nessuno qui. Ma oggi ha fatto un’eccezione.

Lui tentò un sorriso, ma gli tremavano le labbra.

— Mi dispiace… Non avrei voluto disturbare…

— Non è un disturbo. Vuole raccontarmi cosa è successo?

E Giovanni raccontò. Della casa, del figlio, della porta chiusa in faccia. Raccontò senza rabbia, solo con un dolore calmo, che si fa più acuto proprio perché non ha più voce per urlare.

Chiara ascoltò in silenzio, poi disse piano:

— Resta qui. Non per una notte. Per quanto vuoi. Io e Barone non siamo abituati alla compagnia, ma… questa casa potrebbe essere anche tua.

— Non posso approfittare…

— Allora non approfittare. Semplicemente… vivi.

Passarono i mesi. Con l’aiuto di Chiara, Giovanni affrontò la giustizia. I documenti, ottenuti con l’inganno, furono annullati. La casa gli fu restituita.

Ma Giovanni non tornò.

— Non è più casa mia, — disse, guardando Chiara e Barone accoccolato ai suoi piedi. — La mia casa è dove il cuore non trema.

Chiara annuì. — E il tuo cuore, ora, è qui.

Giovanni sorrise. Dopo tanto tempo, sentiva che la vita non l’aveva abbandonato. Aveva semplicemente aspettato, sotto forma di una zampa nella neve.