Non si prende nemmeno la briga di nascondere l’avversione che nutre nei miei confronti: ai suoi occhi, io sarei il veleno silenzioso che rischia di avvelenare il legame tra lei e Sergio.

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Mi chiamo Clara, ho sessant’anni e vivo in un piccolo borgo silenzioso, immerso tra le colline non lontano da Firenze. Ho sempre sognato di essere una madre presente e una suocera accolta con gentilezza. Mai avrei immaginato che un giorno mi sarei ritrovata nel ruolo della “cattiva” nella storia d’amore di mio figlio.

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Lara, la moglie di Sergio, non prova nemmeno a mascherare l’antipatia che ha nei miei confronti. Le sue parole sono taglienti, dirette, come se stesse semplicemente enunciando un fatto qualsiasi. Una sera mi telefonò, piangendo e urlando, accusandomi di voler distruggere il suo matrimonio. Ogni frase che pronunciava era una lama, e io non avevo scudo. Ma ciò che mi ha ferita più di tutto è stato il silenzio di Sergio. Non ha detto nulla. Non una parola in mia difesa.

Quando me la presentò per la prima volta, qualcosa dentro di me si agitò. Quegli occhi scuri, attenti a ogni dettaglio, non trasmettevano imbarazzo o timidezza. Sembravano voler prendere il controllo. Forse è solo l’istinto di una madre, ma sentii un campanello d’allarme: “Fai attenzione”.

Ricordo ancora il suo abito: troppo vistoso per un incontro familiare, quasi una dichiarazione di sfida. Pensai fosse solo un momento di leggerezza, ma con il tempo capii che era il suo modo di imporsi. In un bar, la vidi trattare con freddezza glaciale un giovane cameriere per un semplice errore. Non era nervosismo: era superbia.

Dopo il loro matrimonio, feci il possibile per non interferire. Rimasi in silenzio, aspettando che fossero loro a cercarmi. Poi, un giorno, non resistetti e chiamai Sergio. Era mio figlio, dopotutto. Ma ogni volta che rispondeva, sentivo la voce di Lara che lo spingeva a riattaccare. Senza pudore. Anche quando sapeva che ero io all’altro capo del telefono.

Quando trovai il coraggio di parlargli apertamente, mi raccontò qualcosa che non conoscevo: Lara portava con sé ferite profonde, un passato difficile, una gravidanza persa e tanta sofferenza. Mi chiese comprensione. E io, da madre, cercai di trovarla. Ma non potevo ignorare quello che vedevo: una donna spezzata, sì, ma anche chiusa, incapace di accogliere l’affetto senza respingerlo con ostilità.

Poco dopo quella conversazione, Lara scoprì che Sergio mi aveva confidato la sua storia. Mi chiamò in piena notte, fuori di sé. Mi accusò di volerla cancellare, di essere possessiva, gelosa, di non saper lasciare andare mio figlio. Mi dipinse come una figura amara e invadente.

E Sergio? Sempre più silenzioso. Mi guardava con dolcezza, ma i suoi occhi sembravano dire: “Non posso proteggerle entrambe”. Ripeteva spesso: “Ora ho una mia famiglia, mamma.” E ogni volta sentivo che si allontanava un po’ di più.

Vivono nella casa di lei, bella, moderna, perfettamente ristrutturata. Capisco l’importanza di un luogo sicuro, di stabilità. Ma a volte mi chiedo: può una casa valere più dell’abbraccio di una madre? Quelle mura che li circondano… forse servono anche a tenermi fuori.

Nonostante tutto, spero ancora. Che Lara un giorno possa guardarmi con occhi diversi, che possa smettere di vedermi come una rivale. Ma dentro me cresce la consapevolezza che forse è il momento di fare un passo indietro. Ho dato a mio figlio tutto ciò che potevo: amore, educazione, valori. Ora tocca a lui scegliere il cammino.

E io, da lontano, continuo ad amarlo. Ogni tanto alzo lo sguardo verso la strada, sperando di vederlo apparire. Anche solo per un abbraccio. Anche solo per sapere che non mi ha dimenticata.