Mi hanno lasciato i nipoti per tutte le vacanze, e con la mia pensione devo pensare a tutto: dal cucinare ai giochi, senza un attimo di respiro.

Advertisements

 

Ormai sono diventata la babysitter a tempo pieno — e non pagata — durante ogni vacanza scolastica. Tutto a spese della mia pensione. Mi chiedo spesso: quando è successo che i nonni siano diventati la soluzione di emergenza della famiglia, quelli da cui si corre solo quando non si sa dove altro andare? Sembra che oggi i figli diano tutto per scontato: il nostro tempo, le nostre risorse, persino la nostra pazienza. Ma l’affetto vero, la riconoscenza? Evaporati. Come se non fossero più parte del patto.

Advertisements

Abito in un borgo sereno, a pochi chilometri da Firenze. La mia pensione è modesta, ma fino a poco tempo fa bastava per mantenermi in equilibrio tra quiete e dignità. Quest’autunno, però, la mia tanto agognata tranquillità è stata travolta come da un’ondata improvvisa.

Mia figlia ha due bambini: uno ha dodici anni, l’altro solo quattro. Hanno l’energia di un piccolo uragano, e io… io non ho più il fisico, né l’età, per inseguire uragani.

Avevo sperato di godermi qualche giorno di silenzio, lontano da chiamate dell’ultimo minuto o sorprese dell’ultima ora. Ma la domenica pomeriggio, senza un messaggio né un preavviso, la porta si è aperta su mia figlia, col sorriso tirato e due bambini esagitati al seguito.

— Mamma, tienili tu. Noi andiamo alle terme!

Sono rimasta interdetta.

— Come? Ma Giulia, non mi avevi detto nulla!

Lei ha fatto spallucce, lasciando cadere le valigie accanto alla porta.

— Se te lo dicevo, trovavi una scusa. E poi sei la nonna, no? Abbiamo bisogno di staccare un po’.

Un bacio distratto, e se n’è andata. Io sono rimasta sola, con due piccoli terremoti e nessun piano per la settimana.

Dopo appena dieci minuti, la casa era diventata irriconoscibile: televisione a volume massimo, giocattoli sparsi ovunque, grida da una stanza all’altra. Quando ho servito la cena — una semplice minestra — ho ricevuto solo smorfie. Volevano la pizza, “perché mamma ha promesso”.

Ho preso il telefono, esasperata, e ho chiamato Giulia.

— I bambini non vogliono mangiare. Dicono che volevi ordinare la pizza!

— L’ho già fatta arrivare — ha risposto, seccata — Non forzarli, altrimenti piangono. Falli divertire, mamma!

— E come, scusa? Con i soldi della mia pensione?

Il tono con cui mi ha risposto mi ha gelato il sangue:

— Sono i tuoi nipoti, mica degli estranei. E poi, che altro devi fare con quei soldi?

In quel momento ho capito. Per lei, il mio tempo è suo. I miei risparmi, pure. Il mio amore? Scontato, dato per garantito. Nessun ringraziamento, nessuna premura. Solo pretese.

Io ho lavorato per quarant’anni. Ho fatto sacrifici enormi per dare a mia figlia tutto quello che potevo. E ora, alla soglia di una vecchiaia che speravo fosse serena, mi trovo trattata come una domestica senza stipendio. Amo i miei nipoti, non è questo il punto. Ma sono esausta. Il mio corpo non regge più questo ritmo.

Guardo intorno a me: piatti nel lavello, macchie sul tappeto, giocattoli in ogni angolo. E in mezzo a questo caos, una domanda si fa largo, insistente: è davvero questo ciò che mi aspetta? Dopo una vita intera di impegno, è tutto qui quello che resta?