Quando Lorenzo incrociò lo sguardo di Marta, fu come ricevere un pugno allo stomaco. Non se l’aspettava. Un nodo denso gli salì in gola e, per cercare un appiglio nel quotidiano, richiuse lo sportello della dispensa con troppa forza. Il rumore secco delle tazze che urtavano tra loro ruppe il silenzio della cucina. Un cucchiaino cadde a terra, rotolando sotto il mobile.
Marta era lì, ferma. Le braccia strette al corpo, lo sguardo opaco, senza una parola.
— Ti sei sfogato? — chiese lei, con un tono basso ma tagliente.
— Non è questo il punto, — rispose Lorenzo, la voce impastata dalla stanchezza. — Ho solo la sensazione che tutto mi stia scivolando via. Ogni cosa ha perso senso.
— E naturalmente è colpa mia, giusto? — ribatté lei, con un’espressione che era metà sorriso e metà ferita. — Perché non sono riuscita a starti dietro nei tuoi voli.
Lui sospirò, evitando i suoi occhi. Versò dell’acqua nel bicchiere e bevve a piccoli sorsi, come se volesse riempirsi di silenzio.
— Vuoi almeno spiegare cosa ti tormenta? — disse lei, tremando impercettibilmente. — Hai mai provato a parlarmi?
Lui scrollò le spalle.
— Non saprei nemmeno da dove iniziare. Mi sento solo… svuotato.
Seguì un silenzio tagliente. Marta si voltò e si chiuse in bagno. Poco dopo, il rumore dell’acqua che scorreva cercava di soffocare i singhiozzi. Ma Lorenzo non si mosse. Rimase dov’era, immobile, seduto sul bordo della sedia come se non appartenesse più a nulla.
Erano sposati da quasi quattro anni. All’inizio vivevano in un bilocale in città, poi lei aveva insistito per trasferirsi nella vecchia casa dei nonni, in collina. Era ampia, luminosa, ma piena di cose vecchie, sospesa tra passato e attesa.
Per un po’, Lorenzo aveva finto di essere felice. Il paesaggio era bello, il silenzio una tregua. Ma presto tutto gli era parso immobile, soffocante.
— Non ti piacerebbe dare una rinfrescata? — diceva spesso. — Questa casa sembra dormire da trent’anni.
— Ci arriveremo, — rispondeva lei, accarezzando le tende. — Ma ogni cosa a suo tempo.
Lui, però, vedeva nel tempo solo un nemico.
Ricordava ancora il primo incontro: Marta aveva un’aria timida, lo sguardo limpido come acqua di sorgente. Diceva agli amici: “È come un cielo all’alba, pieno di promesse.” Ma ora quel cielo gli sembrava grigio, spento prima del mattino.
Marta non si considerava spenta. Trovava bellezza nei piccoli dettagli: una candela accesa, un libro sottolineato, il profumo del pane la domenica. Ma per lui era solo abitudine. Una dolce trappola.
Non parlavano mai apertamente di lasciarsi, ma l’aria era densa di cose non dette.
— Marta è una donna preziosa, — le aveva detto un giorno la sorella di lui. — Ti ama ancora, anche se tu non lo vedi.
— Non è abbastanza, — aveva replicato Lorenzo.
Il padre di Marta si era limitato a dire: “Non si può costringere nessuno a restare.”
Poi, un giorno, l’inevitabile.
— Ti vedevo come qualcosa di raro. Ora sei solo lontana, — le disse, in un sussurro.
Marta non pianse subito. Ma quando lo fece, fu come se il cuore si spezzasse in silenzio.
— Sei stanco di me? — chiese.
— Sono stanco di non sentirmi vivo.
Lei prese la giacca con calma.
— Allora vattene. Ma fallo per davvero, stavolta.
— Questa è casa mia quanto la tua!
— No. È casa mia. E non voglio più viverla con qualcuno che mi guarda come se fossi un errore.
Lui se ne andò. Il divorzio arrivò in fretta, come la pioggia in una giornata già cupa.
Era primavera. Tre anni dopo.
Lorenzo non aveva mai davvero ripreso in mano la sua vita. Lavori a intermittenza, notti insonni, nessuna direzione. Una sera, mentre camminava per caso nel centro storico, si fermò davanti a una vetrina fiorita. Un piccolo caffè, elegante e semplice.
E lì, tra le luci calde e i fiori freschi, vide Marta.
Stava parlando con un cliente, un mazzo di ranuncoli in mano, un sorriso sicuro sul volto. Indossava un cappotto chiaro, i capelli raccolti, gli occhi sereni. Era diversa. Più viva. Più… Marta.
— Marta? — disse, con la voce incrinata.
Lei si voltò. Lo guardò. Sorrise, con gentilezza.
— Lorenzo. Che sorpresa. Come stai?
— Mi arrangio, — mentì. — E tu?
— Bene. Ho aperto questo negozio l’anno scorso. Finalmente faccio ciò che amo.
— Da sola?
Una figura si avvicinò, un uomo dai tratti gentili, che le posò una mano sulla schiena.
— Amore, ho preso il tè al gelsomino.
— Lorenzo, lui è Filippo, — disse lei, senza esitazioni.
Lorenzo annuì, forzando un sorriso.
— Sono felice per te.
— Grazie, davvero.
Si salutarono con un cenno. Poi Marta tornò dentro, accanto a quell’uomo, nel profumo dei fiori e della nuova vita.
Lorenzo rimase lì, solo. Un tempo diceva: “È un cielo all’alba.”
Ora capiva: il sole era sorto. Solo altrove.