Nathan trascorse la sua infanzia desiderando un padre che non aveva mai conosciuto. Poi, quando aveva otto anni, vide un uomo sul palco con lo stesso segno di nascita che aveva lui. Corse verso di lui, convinto di aver trovato finalmente suo padre. Quello che seguì fu un intreccio di destino, scelte e un amore che andava oltre il semplice legame di sangue.
Avevo otto anni quando incontrai quello che pensavo fosse mio padre.
Era uno di quei pomeriggi in cui mia madre ed io vagavamo per il centro commerciale, senza un vero motivo se non quello di guardare. Ci muovevamo tra la gente, osservando cose che non potevamo permetterci, fingendo di non essere delusi. Ogni tanto, lei mi stringeva la mano, come a ricordarmi che, anche senza nulla, avevamo l’uno l’altra.
Quella volta mi comprò un gelato. Un piccolo gesto, ma che sapevo significava che avrebbe rinunciato a qualcosa per sé. Leccai il cioccolato mentre ci avvicinavamo a un palco dove un uomo con un microfono stava parlando.
« Andiamo a vedere di cosa si tratta, Nathan, » mi disse mia madre, stringendomi la mano.
Era un evento di raccolta fondi per aiutare gli anziani dopo un uragano.
Poi, lui salì sul palco.
Non so cosa mi colpì prima: il suo viso così familiare, la sua postura sicura ma gentile, o forse quel piccolo segno di nascita sul mento, proprio come il mio. Era minuscolo, e nessun altro ci avrebbe fatto caso, ma io sì. Lo vedevo ogni giorno nello specchio mentre mi lavavo i denti.
Le mie dita divennero insensibili attorno al cono di gelato.
« Mamma, » sussurrai, la voce quasi impercettibile.
Poi, più forte, quasi disperato, mentre la afferravo per la manica:
« Mamma! Mamma! È lui! È mio padre! »
Si girò, con un sorriso sereno, ma quando vide l’uomo sul palco, il colore scomparve dal suo volto.
« Nathan, » disse con voce tagliente. « No. »
Ma ormai era troppo tardi. Nella mia mente di bambino, quell’uomo era mio padre e non lo avrei lasciato andare via.
Le mie gambe si mossero prima che potessi pensarci, il gelato cadde a terra mentre mi facevo strada tra la folla. Sentivo mia madre chiamarmi, la voce piena di panico, ma non mi fermai. Non potevo.
Arrivai al palco, ansimando, e afferrai la sua giacca con le mani piccole.
« Papà, » dissi con voce strozzata. « Sei davvero tu? »
Silenzio. Solo silenzio.
L’uomo si voltò, il volto incerto. Prima sorpresa, poi qualcosa di più profondo, più pesante.
Aspettai.
Il mio cuore batteva forte mentre le mie dita si stringevano sulla sua giacca. Forse, se lo avessi trattenuto abbastanza forte, non sarebbe sparito di nuovo.
Non questa volta.
Si abbassò leggermente, portandosi al mio livello, e con una mano calda e sicura, mi posò la mano sopra.
« Ne parleremo tra un minuto, va bene? » disse dolcemente.
Annuii, troppo sconvolto per dire altro.
Mio padre mi aveva parlato!
Si girò per continuare il suo discorso, mentre il pubblico non aveva idea di cosa fosse appena successo. Ma io non ascoltavo. Il mio mondo si era ridotto a quell’uomo, a quel momento.
Quando scese dal palco, mi aggrappai di nuovo alla sua giacca.
« Sei mio padre? » chiesi, la voce appena un sussurro.
Non rispose subito. Si guardò intorno, poi fissò mia madre.
« Mi scusi, ma ci conosciamo? » le chiese con calma.
Mia madre deglutì e rispose in fretta: « No. »
Troppo in fretta.
« Nathan ha visto il suo segno di nascita e ha pensato… » iniziò, ma lui scosse la testa.
« Mi dispiace tanto, signore. Dobbiamo andare. »
Ma lui non la lasciò andare.
« Aspetti, » disse, fermo. Irremovibile.
Sentii il suo sguardo su di me, poi su mia madre.
« Possiamo parlare in privato? »
Un nodo si formò in gola. Perché parlava con lei e non con me?
Una volontaria si avvicinò, offrendosi di portarmi un po’ più lontano mentre loro parlavano.
« Andiamo, tesoro, diamo loro un po’ di spazio. Mio nipote ti somiglia tantissimo! »
Non volevo andare, ma mia madre mi lanciò uno sguardo che mi disse di non discutere.
Rimasi lì, con lo stomaco che si contorceva per il gelato, guardandoli allontanarsi.
Non sapevo cosa le avesse detto.
Quella notte, dopo il centro commerciale, non riuscivo a dormire. Rimanendo nel letto, le dita strette alla coperta, il cuore che ancora batteva forte per quello che era successo. Ogni volta che chiudevo gli occhi, lo vedevo di nuovo.
Non sapevo nulla di lui, ma sapevo cosa volevo che fosse.
Mio padre.
Mi girai su un fianco, fissando il sottile raggio di luce sotto la porta. Mia madre era ancora sveglia.
« Mamma? » chiamai.
Una pausa.
Poi la porta si aprì con un lieve cigolio, e lei entrò, la luce del corridoio che incorniciava il suo viso.
« Cosa c’è, amore? »
Esitai prima di rispondere.
« Quando lo rivedrò? »
La sua mano si strinse sulla maniglia della porta.
« Nathan… »
« Non ha detto di no, » insistetti. « Non ha detto che non era mio padre. »
Mia madre sospirò e si sedette sul bordo del letto, rimboccandomi le coperte.
« Cose come queste… sono complicate, Nathan. »
« Lo conosci? » chiesi, sollevando lo sguardo.
« No, tesoro, » scosse la testa. « Ma è stato molto gentile. »
Gentile. Non era la parola che volevo sentire. Volevo un sì. Volevo un presto.
Ma non aveva detto di no. E questo bastava a farmi sperare.