— Guarda, di nuovo si porta via la borsa! Hai visto come fatica? — risero alcune cameriere uscite a fumare una sigaretta.
Una di loro, a voce alta, commentò:
— Valya la lavapiatti! Non ti spezzare la schiena, eh? Gli avanzi sono più pesanti dei piatti pieni!
La donna anziana si voltò, sorrise malinconicamente e, cambiando mano per reggere la borsa, si incamminò in fretta verso la fermata dell’autobus.
— Ma che se ne fa di tutta quella roba? — chiese curiosa una delle ragazze.
— Boh, è arrivata qui da un paio di settimane appena — rispose l’altra. — E poi, a Palych…
— Sai che della vita privata degli altri non mi importa niente! — sbottò Svetlana con disprezzo.
— Ma dai, mica sto dicendo che voglio sposarlo! — rise l’amica. — Però Palych non è poi così male: affascinante e pure coraggioso.
Svetlana sbuffò:
— Non dirmi che ti sei presa una cotta per il nostro amministratore?
— Macché. Solo che è uno che sa il fatto suo. E poi, sinceramente, noi due a tipi come Palych o il proprietario manco li interessiamo. Cercano donne di altro livello… noi siamo gente normale.
Svetlana tacque, amaramente consapevole che, in fondo, l’amica aveva ragione.
Il ristorante era stato aperto da Ivan Igorevich e dal suo amico Andrea, detto Palych. Si diceva che si conoscessero da una vita, da quando avevano servito insieme in zone di guerra. Avevano rischiato la pelle l’uno per l’altro, ed era nata un’amicizia indistruttibile.
Svetlana colse l’occasione di parlare con Palych appena lo vide:
— Andrea Palych, ma è normale che quella nuova lavapiatti si porti via le borse piene di avanzi?
Lui la guardò con serietà:
— Ti darebbe più soddisfazione vederli finire nella spazzatura?
Svetlana arrossì ma insistette:
— Non mi sembra igienico. Se vive in condizioni così misere, potrebbe essere un problema…
— Primo: Valentina Stepanovna ha tutte le certificazioni in regola. Secondo: è pulita e ordinata. Terzo: non hai idea di chi o cosa aiuti con quegli avanzi. Quarto — aggiunse, stringendo gli occhi —: se tu, Svetlana, facessi il tuo lavoro con metà della sua dedizione, avresti già una promozione.
Mortificata, Svetlana si rifugiò nella dispensa dove Rina, la sua amica, la aspettava.
— Ti ha strigliata? Te l’avevo detto di non ficcare il naso!
Svetlana sbuffò:
— Quel soldato da quattro soldi protegge quella vecchia raccoglitrice d’immondizia! Ma gliela farò pagare. Non durerà molto qui.
— Ma che t’ha fatto di male, poverina? — sospirò Rina.
Svetlana non rispose. Non poteva ammetterlo: vedere Valentina raccogliere quegli avanzi le faceva riaffiorare memorie troppo dolorose. Da bambina aveva spesso dovuto rubare o frugare nei cassonetti per sopravvivere, figlia di due alcolisti che la ignoravano.
Ora voleva solo dimenticare.
Due giorni dopo, Ivan Igorevich tornò dall’estero. Era giovane, elegante, e per Svetlana rappresentava l’occasione perfetta per cambiare vita.
Aveva un piano: avvicinarsi a lui con la scusa della “preoccupazione per la reputazione del locale”.
Con un vestito nuovo e un sorriso studiato, bussò alla sua porta:
— Ivan Igorevich? Posso entrare?
— Prego, Svetlana. Che succede?
Lei raccontò del “problema” della lavapiatti. Ivan ascoltò pazientemente, poi propose:
— Andiamo a vedere insieme.
Scesero in cucina. Appena Valentina vide Ivan, lasciò cadere il panno che stava usando per lucidare i tavoli. Le sue mani tremavano.
— Nyuša…? — sussurrò lei, incredula.
Ivan impallidì:
— Valentina Stepanovna?! Non è possibile…
In un attimo le fu addosso, stringendola forte. Gli occhi gli brillavano.
— Tu mi hai salvato la vita! Pensavo fossi morta quel giorno…
Valentina abbassò gli occhi:
— Ero gravemente ferita. Mi hanno spostata di ospedale in ospedale. Non sapevo nemmeno se avrei camminato di nuovo…
Ivan si girò verso il personale, emozionato:
— Questa donna, mentre il nostro ospedale veniva bombardato, mi ha trascinato via sotto il fuoco nemico! Le devo la vita!
Tutti ascoltavano, muti.
Poi Ivan dichiarò:
— Da oggi Valentina Stepanovna non laverà più piatti. Riceverà uno stipendio regolare. E avrà ogni mese ciò che le serve per i suoi amici a quattro zampe.
— Gli amici? — chiese piano Rina.
— Cani e gatti randagi — spiegò Palych, sorridendo. — Valentina porta loro da mangiare. Non mangia certo lei gli avanzi.
Svetlana, rossa di vergogna, cercò di defilarsi.
Ma Ivan la fermò con tono severo:
— E tu, Svetlana, da oggi aiuterai in cucina, finché non troviamo un’altra lavapiatti.
Svetlana non trattenne le lacrime. Rina le si avvicinò e, senza rabbia, le sussurrò:
— Te l’avevo detto: a che serviva tutta quella cattiveria?
Svetlana abbassò lo sguardo. Dentro di sé, una voce antica e dolorosa le sussurrava:
“Perché avevo paura. Perché nel mio cuore, quella fame, quella vergogna, non erano mai passate.”