Dopo cinque anni passati con Logan, pensavo di averlo ormai compreso in ogni suo aspetto. Avevo tollerato la sua freddezza, il suo distacco emotivo e la sua ossessione per quella continua “ricerca di sé” tra auto di lusso e allenamenti inutili. Pensavo che non ci fosse più nulla che potesse sorprendermi di lui. E invece, mi sbagliavo, e anche profondamente.
Un giorno, mentre passeggiavo in città, lo scorsi in un bar con una ragazza giovane, sorridente e leggera. In quel momento, mi sembrò di vivere un incubo dal quale non riuscivo a svegliarmi. Non riuscivo a credere ai miei occhi, ma purtroppo la realtà era troppo chiara.
Con un sorriso che mi bruciava dentro, mi fissò e, senza un briciolo di rimorso, disse davanti a tutti: «È finita.»
Non riuscendo a dire una parola, me ne andai, con il cuore pesante e gli occhi pieni di lacrime. La mattina successiva, decisi di tornare a casa. Speravo almeno di poter parlare con lui, di capire se ci fosse qualcosa da salvare tra noi. Ma quello che trovai mi distrusse ancora di più. Le mie cose erano sparse sul prato, trattate come rifiuti. Logan era sulla veranda con quella ragazza, sorridendo come se niente fosse accaduto.
«Questa casa appartiene a mio nonno, non a te. Prendi le tue cose e vattene», mi disse con una freddezza che non avrei mai immaginato da lui.
Non volevo fare una scenata, non era nel mio carattere, ma in quel momento mi sentivo più vuota che mai. Iniziai a raccogliere le mie cose, arrabbiata, distrutta, ma cercando di mantenere la calma.
Poi, all’improvviso, arrivò lui: il signor Duncan, il nonno di Logan. Un uomo di grande autorità, giusto e severo, non solo ricco di denaro, ma soprattutto di carattere. Era rispettato da tutti nella famiglia. Scese dalla sua macchina con passo deciso, osservò la casa, poi fissò me e infine Logan.
«Che sta succedendo qui?» La sua voce, profonda e minacciosa, fece gelare l’aria.
Logan iniziò a balbettare, ma il signor Duncan non gli diede nemmeno il tempo di spiegarsi.
«Pensavi davvero che ti avrei permesso di mandare via mia nuora dalla casa che un giorno sarebbe stata sua?» La voce del signor Duncan, autoritaria e decisa, risuonò forte.
Logan, sorpreso, sbatté le palpebre.
«Ma nonno, è che…»
«Tu non sei più il padrone di questa casa. Ora appartiene a me. E sai una cosa? Ora appartiene a tua moglie.»
Il silenzio calò pesante. Logan diventò pallido, mentre la ragazza, inizialmente nervosa, non trovò più parole.
«Hai tradito tua moglie e l’hai cacciata. Ora, tocca a te raccogliere le tue cose», proseguì il signor Duncan, con una fermezza che non ammetteva discussioni.
Logan cercò di rispondere, ma il signor Duncan si voltò per andarsene, senza lasciargli spazio per replicare.
«Se hai bisogno di qualcosa, sai dove trovarmi», mi disse con un sorriso gentile ma risoluto, prima di allontanarsi.
Logan rimase paralizzato sulla veranda, incapace di capire cosa stesse succedendo. La situazione che pensava di aver sotto controllo gli sfuggiva di mano. E io? Io sorridevo. Non solo non avevo perso la mia casa, ma finalmente ero libera. Libera da un matrimonio che non mi apparteneva più.