La maggior parte delle persone evita di addentrarsi nei boschi più profondi, ma il protagonista di questa storia, John, non era un uomo qualunque. Ex ranger con esperienza nell’intelligence militare canadese, conosceva i segreti della foresta meglio di chiunque altro.
Una mattina, mentre prendeva misure sugli alberi, sentì un ululato straziante. Il suono si propagava nell’aria come un grido di dolore. John lasciò cadere gli strumenti e, con passo cauto, si diresse verso la fonte del suono.
Trovò una lupa intrappolata in un vecchio cappio metallico. Le zampe tremavano per la fatica, gli occhi erano colmi di paura. Quando John si avvicinò, la lupa alzò il pelo e ringhiò, più per istinto che per aggressività. Cercava disperatamente di liberarsi, ma ogni movimento peggiorava la sua situazione.
John fece un passo indietro per non spaventarla ulteriormente. Poi notò qualcosa di importante: il ventre della lupa era gonfio di latte. Significava che da qualche parte, nascosti tra i cespugli, c’erano i suoi cuccioli. E forse stavano già soffrendo la fame.
Mentre osservava l’area circostante, intravide una piccola sagoma muoversi tra i rami: un lupacchiotto lo scrutava con occhi curiosi. E sicuramente non era solo.
John sapeva che il tempo stringeva. La lupa era esausta e sanguinava dalla zampa ferita. Se non fosse intervenuto subito, la morte sarebbe arrivata nel giro di poche ore, portando con sé anche la vita dei suoi piccoli.
Si avvicinò con calma, avvolgendo una mano nella giacca per proteggersi in caso di attacco. Con l’altra provò ad aprire il meccanismo del cappio, ma era bloccato. La lupa, seppur stremata, emise un ultimo ringhio.
Non c’era tempo per esitazioni. John afferrò il cappio con entrambe le mani, ignorando il rischio. Fece forza fino a sentire lo scatto del meccanismo: il laccio si aprì e la lupa cadde sfinita sulla neve.
Non c’era più pericolo immediato, ma la lupa era troppo debole per muoversi. John la sollevò sulle spalle e, con fatica, la trasportò fino alla sua baita, a pochi passi dalla radura. Ci vollero venti minuti per coprire la distanza nella neve alta.
All’interno della baita, l’uomo accese la stufa e adagiò l’animale vicino al fuoco. Esaminò la ferita, la pulì con acqua tiepida e applicò una fasciatura. La sua esperienza militare gli tornò utile: sapeva come trattare un’emorragia.
Dopo qualche ora, la lupa si riprese e lo guardò con occhi attenti. Quando ringhiò nuovamente, John capì che il pericolo era passato: l’istinto di sopravvivenza era tornato.
Sapendo che presto si sarebbe rimessa in piedi, la portò fuori sulla veranda, lasciandole un tappeto caldo e una ciotola d’acqua.
Ma il compito non era finito. C’erano ancora dei cuccioli da salvare.
Seguendo le piccole impronte nella neve, John si avventurò nella foresta. Le tracce lo portarono a un anfratto nascosto tra le rocce.
Si fermò davanti all’ingresso della tana e provò a imitare il richiamo della madre. Nessuna risposta. I piccoli erano stati educati a non uscire senza il segnale della lupa.
Dopo qualche minuto, però, il primo lupacchiotto osò sbucare fuori. Affamato e debole, cercava qualcosa da mangiare. E subito dopo, uno alla volta, ne uscirono altri tre.
John sapeva di non poterli trasportare tutti a mano. Trovò un vecchio sacco e, con estrema delicatezza, vi adagiò i piccoli. Poi si assicurò che non ne fossero rimasti altri nella tana.
Tornò alla baita e posò il sacco vicino alla lupa. Appena i cuccioli iniziarono a squittire, lei si drizzò sulle zampe malferme, i suoi occhi si inumidirono. I piccoli corsero subito da lei, strofinandosi contro il suo ventre e iniziando a bere il latte che, fino a quel momento, era rimasto inutilizzato.
John, nascosto dietro la porta, osservò la scena. Sperava che il suo odore umano non interferisse nel loro ricongiungimento. Ma la madre li accettò senza problemi.
Per giorni, la lupa rimase alla baita, recuperando le forze. John le lasciava carne cruda e acqua, senza mai forzarne la presenza.
Poi, una mattina, la lupa si alzò con determinazione. Guardò John per un lungo istante, poi lanciò un richiamo ai suoi cuccioli. I piccoli la seguirono obbedienti.
Mentre si allontanava nella foresta, la lupa si voltò un’ultima volta. I suoi occhi dicevano tutto: un’infinita gratitudine per quell’uomo, ma anche un’intrinseca diffidenza nei confronti della razza umana.
John non rivide mai più quella famiglia, ma ogni volta che entrava nella foresta, si chiedeva se quei giovani lupi si ricordassero ancora di lui.
La storia si diffuse rapidamente nei giornali locali, rendendo John una leggenda nella sua cittadina. Molti lo invitavano a raccontare l’avventura nei salotti e nei bar.
Passò del tempo, e un giorno, durante una passeggiata nella foresta, John si imbatté in un’altra lupa in difficoltà. La sua zampa era intrappolata in un altro cappio. Era come se il destino lo avesse messo ancora una volta alla prova.
Ma questa volta, qualcosa di familiare brillava negli occhi della lupa.