Era un pomeriggio come tanti, con il sole che filtrava tra le tende e mia figlia

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Era un pomeriggio come tanti, con il sole che filtrava tra le tende e mia figlia, Beatrice, che correva scalza in salotto con il telefono di mio marito in mano. Lo adorava: le piaceva premere i tasti, scorrere tra le app, ascoltare le suonerie. Andrea, mio marito, non ci dava troppo peso — “Tanto è bloccato, che può fare?”, diceva sempre.

Quella volta, però, il telefono non era bloccato.

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Beatrice aveva accidentalmente risposto a una chiamata. Poi, come fanno tutti i bambini di cinque anni, si era distratta e aveva mollato il telefono sul divano.

Io ero in cucina, con le mani nell’impasto per la pizza. Quando ho sentito la voce, pensavo fosse la TV. Ma la televisione era spenta.

La voce era chiara, squillante, femminile.

“Io e papà abbiamo tanti segreti…”

Il sangue mi si è gelato. Ho lasciato cadere l’impasto sul tavolo e sono corsa nel salotto. Il telefono era ancora lì, in vivavoce.

La voce ha continuato, ridacchiando:

“Ma tranquilla, piccola, tua mamma non li scoprirà mai, promesso!”

Clic. Fine della chiamata.

Andrea è tornato un’ora dopo, con la solita calma. Io ero seduta sul divano, il telefono in mano. Appena ha visto il mio sguardo, ha capito che qualcosa non andava.

— “Chi è la donna che ha detto che voi due avete dei segreti?”

Lui è rimasto in silenzio. E poi ha fatto l’errore peggiore.

— “Sarà uno scherzo. Magari una collega. Forse Beatrice ha aperto un vecchio messaggio vocale…”

Bugie. Goffe, immediate, infastidite. Come se avessi chiesto qualcosa di inopportuno.

Ma io avevo già controllato. La chiamata era in entrata. Ventisette minuti. Salvata come “L.” nella rubrica. Nessun cognome. Solo la lettera.

Nei giorni successivi ho fatto quello che non avevo mai fatto in dieci anni di matrimonio: ho indagato. Il nome dietro la “L.” era Lara, una donna che lavorava come PR per una delle aziende con cui Andrea collaborava. Una donna che, a quanto pareva, conosceva bene la nostra casa, nostra figlia, persino le nostre abitudini.

Avevano una relazione. Non da settimane. Da anni. E Beatrice, senza volerlo, aveva fatto saltare il coperchio a una verità nascosta sotto strati di apparente perfezione.

Ma non è finita lì.

Perché mentre raccoglievo i pezzi del mio mondo, ho trovato qualcosa che Andrea aveva dimenticato: una bozza di messaggio, non ancora inviato, sul suo computer. Diceva:

“Non so come uscirne. Lara vuole che lasci Sara. Dice che Beatrice le ha chiesto se può chiamarla mamma. Ma io… non riesco. Ho paura.”

Ho stampato quella mail. L’ho lasciata sul tavolo accanto al telefono. E sono uscita con Beatrice. Siamo andate al mare per qualche giorno. Io, mia figlia, e un silenzio che faceva meno male della voce di quella donna.