Passarono settimane senza risposta, finché una sera sentii bussare alla porta. Era mia figlia, con un sorriso incerto ma gli occhi pieni di lacrime. Mi abbracciò forte e mi disse che aveva capito quanto fossi sola e che non avrebbe mai voluto lasciarmi così.

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Ho 67 anni e vivo da sola in una vecchia casa di campagna, tra i ricordi e il silenzio. I miei figli, ormai adulti e lontani, mi chiamano poco e ogni volta che chiedo loro di venirmi a prendere, rispondono con un freddo rifiuto. Mi dicono che hanno vite impegnate, che non possono occuparsi di me, e io non so più come andare avanti.

La casa intorno a me sembra crescere inesorabilmente, inghiottendo il tempo e la speranza. Le stanze vuote sono testimoni di giorni felici, ma ora sembrano solo luoghi di attesa. Ogni mattina mi siedo alla finestra e guardo la strada deserta, sperando di vedere la loro macchina arrivare.

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Un giorno, mentre pulivo il giardino, trovai un vecchio album di fotografie nascosto sotto un cespuglio. Sfogliandolo, rivissi momenti di gioia, di risate, di abbracci. E capii che quei ricordi potevano essere la mia forza, non la mia prigione.

Decisi allora di scrivere una lettera a ciascuno dei miei figli, raccontando non solo il dolore del rifiuto, ma anche l’amore che porto per loro, incondizionato. Non chiedevo altro che un gesto di vicinanza, anche piccolo.

Passarono settimane senza risposta, finché una sera sentii bussare alla porta. Era mia figlia, con un sorriso incerto ma gli occhi pieni di lacrime. Mi abbracciò forte e mi disse che aveva capito quanto fossi sola e che non avrebbe mai voluto lasciarmi così.

Quella sera, per la prima volta dopo tanto tempo, la casa sembrò riempirsi di vita. Capì che, anche quando tutto sembra perduto, la speranza può nascere dal coraggio di aprire il cuore, senza paura.