Non ci fu nessun bacio, nessun abbraccio. Solo il rumore del suo passo che si allontanava.

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Per il mio sessantesimo compleanno avevo scelto un vestito rosso. Non era un capriccio, ma una dichiarazione silenziosa: volevo ricordare a me stessa che, anche dopo quarant’anni di matrimonio e decenni di routine, ero ancora una donna, viva e degna di essere vista.

Il vestito era elegante, con pieghe morbide e un taglio che accarezzava appena il ginocchio. Avevo prenotato una stilista, curato l’acconciatura, spruzzato il profumo che lui mi aveva regalato tanti anni fa. La casa era piena di rose rosse e jazz che suonava in sottofondo.

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Quando lui entrò, si tolse le scarpe con lentezza, mi guardò con quegli occhi freddi e disse:
— “Dove credi di andare vestita così? Non sei su un palco. Alla tua età non è adatto.”

Il sorriso si congelò sulle mie labbra.
— “Pensavo… di essere carina,” sussurrai.

Non ci fu nessun bacio, nessun abbraccio. Solo il rumore del suo passo che si allontanava.

Mi rifugiai nel bagno e piansi, lasciando che il mascara si sciogliesse sulle guance. Avevo sessant’anni, e quel giorno volevo solo un po’ di calore, uno sguardo che dicesse: “Tu sei mia. Per sempre.”
Ma negli occhi di mio marito c’era solo indifferenza.

Eravamo sposati da quarant’anni. Tra figli, malattie e debiti, io ero sempre stata la colonna. Le sue parole dolci erano rare, e io avevo sempre sperato che, prima o poi, sarebbe cambiato.

Quella sera però, nel silenzio della casa piena di gente che rideva e si ignorava, capii che non avevo più nulla da aspettare.

Asciugai le lacrime, indossai un maglione grigio e i jeans, accesi delle candele. I nipoti ridevano, i figli facevano finta di non vedere, e il mio cuore si sentiva vuoto come un bicchiere dimenticato.

A notte fonda, mentre lavavo i piatti, gli dissi piano:
— “Non mi hai nemmeno fatto gli auguri…”

— “Ti ho preso un frullatore. Cos’altro vuoi?” rispose senza staccare gli occhi dallo schermo.

— “Forse… qualcosa di diverso…” sorrisi solo con gli occhi e andai a dormire.

La mattina dopo mi svegliai presto. Sul tavolo trovai un biglietto: “Sono da mamma. Torno stasera.”

Mi alzai e indossai di nuovo quel vestito rosso. Mi guardai allo specchio e rividi una donna che avevo dimenticato: viva, bella, libera.

Versai un caffè, aprii il portatile e iniziai a cercare un viaggio in Italia.

Perché no?

Non sono vecchia. Sono libera.

E merito molto di più di un frullatore e del suo silenzio.