I colpi cadevano uno dopo l’altro, come grandine. Sasha cercava di coprirsi con le mani, ma Kirill sembrava impazzito dalla rabbia. Ogni parola detta — o non detta — diventava un’esca. Ogni silenzio, un’offesa. Ogni gesto, una provocazione.
Quella sera sembrava normale, o meglio, sembrava normale per la realtà distorta in cui viveva da mesi. Era tornata a casa come sempre, strisciando oltre la soglia con il respiro spezzato dalla tensione. La luce del corridoio l’accolse come un interrogatorio.
Kirill l’aspettava in salotto, in piedi, rigido come una sentenza già scritta.
— In ritardo — disse, con la voce bassa, velenosa.
Sasha fece per togliersi il cappotto, ma il cuore già le martellava nel petto. I sette minuti che la separavano dalle 19:30 erano gli unici margini d’azione rimasti tra una cena fredda e una discussione infuocata.
Ma quella sera non si sarebbe giocata a dadi col destino. Quella sera, qualcosa in lei si ruppe.
Parte 2: La crepa
Mentre cucinava in fretta, le mani tremanti e la gola chiusa, i pensieri correvano. Come sarebbe andata a finire? Sarebbe stata solo un’altra serata da medicare con il silenzio, o qualcosa di peggio? Kirill, seduto a guardarla, la osservava come un carceriere. Lei mise il piatto davanti a lui. Un errore — poco sale. Troppo poco.
Il primo schiaffo non lo sentì nemmeno. Sentì il secondo. Il terzo arrivò con uno strattone, e quando cercò di divincolarsi, cadde contro il mobile del corridoio. Il sangue le scese dal sopracciglio. Si coprì istintivamente il viso, e il mondo diventò un turbine muto.
Poi, un suono diverso: uno squillo.
Kirill si bloccò. Il suo telefono vibrava sul tavolo. Era la madre.
— Rispondi, dai, vedi che bravo figlio che sei — disse Sasha con la voce rotta ma stranamente calma. Lo guardò negli occhi. Qualcosa dentro di lei si era acceso. E quella cosa… era nuova.
Kirill esitò. Per la prima volta in mesi, fu lui a ritrarsi.
Sasha si rialzò lentamente. Sangue sulla guancia. Orgoglio che lentamente si ricomponeva. Aveva paura, sì. Ma più ancora, era stanca.
Parte 3: La chiave e l’uscita
Quando lui si chiuse in bagno per rispondere alla madre, Sasha si mosse. Le mani correvano da sole: zaino, portafoglio, chiavi. Prendendo il giubbotto, il suo sguardo cadde sul cassetto della cucina — quello dove teneva nascosto il cellulare di riserva, quello che Kirill non conosceva.
Lo aveva acquistato di nascosto, grazie ai turni extra al supermercato, e ogni sera lo accendeva solo per qualche minuto. Quella sera, scrisse tre parole a Natasha:
“È il momento. Aiutami.”
Poi aprì la porta. Erano le 19:28. Due minuti prima dell’ora fatale.
Si sentì morire. Ma non tornò indietro.