Non mi sono mai considerato sfortunato, anche se la vita non mi ha mai regalato niente. Sono cresciuto con una madre che si spaccava la schiena ogni giorno per permettermi di studiare. Mio padre è morto che avevo quindici anni, e da allora il suo posto al tavolo è rimasto vuoto. Ma mamma ha tenuto duro. Non mi ha mai fatto mancare un libro, un pranzo caldo o una parola buona.
All’università, il destino mi fece un regalo: Fiorella.
Fiorella era ciò che tutti notavano: occhi taglienti, battute pronte, gambe infinite e quell’aria da donna sicura che smuoveva le gerarchie sociali nei corridoi. Io ero nessuno. Ma lei, chissà perché, si avvicinò. Prima per un aiuto con un progetto. Poi per un caffè. Poi per “passare a studiare da me”. Mi illudevo? Sì. Ma poi mi baciò. E la mia vita cambiò.
Ci fidanzammo in segreto, poi uscimmo allo scoperto. Lei era il sogno. Io, l’operaio della sua favola.
Nonostante le sue amiche, i suoi genitori, e quel suo modo di dire “dai, non ti offendere” prima di ogni frecciata, io l’amavo. Le chiesi di sposarmi il giorno della mia laurea. Lei disse sì. E io credetti che fosse davvero felice.
La realtà cambiò subito dopo.
Non avevamo una casa. Mamma ci regalò il suo unico appartamento in città. Lei tornò nella vecchia casa al paese, quella umida, con le finestre che non si chiudevano bene. Le dissi: “Ma sei sicura?” E lei: “La felicità dei figli è il tetto dei genitori.”
Fiorella non era contenta.
“Piccola, buia, senza garage,” commentò entrando. Ma ci si adattò. O così pensavo.
I mesi passavano, e le sue lamentele crescevano. Voleva rifare il bagno, voleva mobili nuovi, voleva una vacanza che non potevamo permetterci. “Tua madre ti ha cresciuto senza niente. Ora vuoi fare lo stesso con me?”, diceva.
Ma la goccia arrivò quando iniziai a fare la spesa anche per mamma. Una busta ogni tanto. Le sue medicine. Qualche conto della luce che non riusciva più a pagare.
“Hai una moglie adesso, non sei il suo badante,” sbottò Fiorella una sera.
La guardai, e la mia voce uscì più fredda di quanto volessi:
“Lei ha dato tutto per me. Non posso lasciarla sola.”
Fiorella si alzò, raccolse la borsa e disse con voce piatta:
“O lei o io. Decidi.”
Non le risposi.
Dormii sul divano. All’alba, uscii con due sacchetti pieni e presi il treno. Mamma mi aspettava con il suo sorriso stanco. Mangiammo in silenzio. Poi le dissi tutto.
Lei si sedette accanto a me, mi prese la mano e disse:
“Non scegliere. Chi ti ama davvero, non ti chiederà mai di dividerti a metà.”
Due giorni dopo, tornato a casa, trovai Fiorella con le valigie pronte.
“Allora?”
“Sai già la risposta,” dissi.
Fece una smorfia, raccolse la borsa e uscì. Non si voltò nemmeno.
Oggi vivo ancora nella stessa casa. Il bagno è quello vecchio. I mobili sono quelli che mamma ci aveva lasciato. Ma ho una tavola dove ogni domenica lei si siede ancora, e mi versa la minestra col suo sorriso stanco.
Non ho scelto tra l’amore e la riconoscenza.
Ho scelto chi non mi ha mai chiesto di scegliere.