Il cielo grigio versava una pioggia leggera, e Clara restava immobile accanto alla finestra, seguendo con lo sguardo le gocce che scivolavano lente sul vetro. Diciassette anni. Un matrimonio, mille giorni, infiniti silenzi. Erano troppi o troppo pochi? Ogni abbraccio, ogni parola, ogni promessa sbiadita viveva ancora nella memoria. Ma ormai, qualcosa si era spento.
La porta si aprì piano alle sue spalle.
— Dobbiamo parlare — disse Marco, con una voce che sembrava aver deciso tutto.
Clara non si voltò. — Dimmi.
— Ho preso una decisione. Andrò via. Con Elisa.
Il nome cadde come un sasso in uno stagno, smorzato solo dal battito regolare dell’orologio sul muro, l’unico suono nella stanza.
— La tua tirocinante? — chiese Clara, pacata.
— Sì. Ho bisogno di… aria nuova. Tu sei sempre stata così razionale, così forte. Lo capirai.
Un cenno appena accennato. Nessuna lacrima, nessuna supplica.
— E quindi te ne vai. Così.
— È tutto già organizzato.
Clara si mosse con calma verso la credenza. Prese una bottiglia ancora sigillata, un Barolo d’annata.
— La tenevo per un’occasione speciale. Credo che vada bene anche per un addio. Organizziamo una cena. Ultimo atto, con il sipario aperto.
Marco la fissò, disorientato. — Una cena per la nostra separazione?
— Meglio che chiuderla con urla. Facciamone un ricordo elegante. Come meritano gli anni che abbiamo vissuto.
Il giorno dopo, Clara si alzò all’alba. Incontro con il notaio, consulente finanziario, avvocato. Ogni dettaglio pianificato come una partitura.
La sera, la casa era splendida. Candele accese, porcellane lucide, profumo di arrosto e rosmarino nell’aria. Sembrava una celebrazione. In un certo senso, lo era.
La madre di Marco si avvicinò a Clara, turbata.
— Sei sicura di volerlo lasciare andare?
— La vera forza è saper chiudere ciò che non ha più vita — rispose con dolcezza ferma.
Gli ospiti riempirono il salone. Elisa arrivò per ultima, nervosa. Clara alzò il bicchiere.
— Grazie per essere qui. Questa non è solo una fine, ma l’inizio di qualcosa che nessuno ha ancora scritto.
Poi guardò Marco.
— Grazie per i tuoi insegnamenti. Anche quelli che sono arrivati troppo tardi.
Con gesti precisi, posò sul tavolo alcune cartelle.
— Qui ci sono i mutui cointestati, le spese fatte a mia insaputa, i conti paralleli. E qui — aprì una cartellina blu — il nostro accordo prematrimoniale. Sì, quello che firmasti distrattamente.
Marco impallidì. Elisa sgranò gli occhi.
— La casa è mia. I tuoi conti sono congelati. E i documenti del divorzio sono già in mano al tribunale.
Poi si rivolse a Elisa con un tono quasi materno.
— Sei certa di voler cominciare con lui da zero, senza certezze né basi?
Elisa non rispose. Scivolò fuori, lasciando dietro di sé solo il rumore dei suoi passi incerti.
La madre di Marco abbassò lo sguardo.
— Non immaginavo…
— Non devi scusarti — disse Clara con gentilezza. — Alcune lezioni arrivano solo vivendo.
Marco era immobile. L’uomo che pensava di dirigere tutto si era ritrovato spettatore.
Clara si avvicinò, lo guardò negli occhi.
— Avrei potuto distruggerti, ma ho preferito liberarmi.
Poi sorrise.
— Domani parto. Vado a Bali. Tu dicevi che era inutile. Io credo che sia un ottimo punto di partenza.
Posò le chiavi sul tavolo. Un gesto semplice, definitivo.
— La casa verrà venduta. Il resto… non ti riguarda più.
Marco mormorò appena: — E io… adesso?
Clara si voltò un’ultima volta.
— Ora sei libero. Come volevi. Sta a te capire cosa farne.
Attraversò la soglia con passo leggero. La porta si chiuse dolcemente dietro di lei.
Marco restò, solo e muto. Clara, invece, cominciava finalmente a vivere.