Ogni volta che andavamo a cena fuori, la scena si ripeteva come un rituale sacro.
Appena arrivava il conto, Marco tastava le tasche del giubbotto con crescente stupore.
— Accidenti… ho lasciato il portafoglio a casa. Giuro, stavolta me lo ricordavo.
Sospiravo. Sorriso forzato. E mentre tiravo fuori la mia carta, il cameriere annotava mentalmente la routine. Chissà quanti “Marco” aveva già visto passare.
La prima volta era stato buffo. La seconda, curioso. Dalla terza in poi, mi sentivo un bancomat con un vestito carino.
Eppure non era solo questione di soldi. Marco aveva quel talento unico di svicolare da ogni forma di responsabilità con lo stesso charme con cui evitava di pagare il conto.
Scordava anniversari, dimenticava promesse, e quando gli parlavo dei miei problemi al lavoro, rispondeva con un “uhm” distratto, scrollando Instagram.
— Tesoro, ma stai esagerando. Paghiamo a turno, no? — aveva detto una volta.
— Quando, esattamente, è stato il tuo turno? — avevo risposto. Silenzio.
Un giovedì sera, tutto è cambiato. Cena prenotata in un ristorante elegante, luci soffuse, tovaglie bianche, il tipo di posto in cui anche i tovaglioli sanno che costano troppo.
— Questa volta pago io, promesso! — aveva dichiarato, battendosi il petto con aria solenne.
E invece, a fine pasto, ecco di nuovo lo sguardo da cagnolino colto in fallo.
— Ti giuro che stavolta me l’ero messo in tasca! Sarà caduto in macchina… o nel taxi…
Mi alzai. Non chiamai il cameriere. Non tirai fuori la carta. Mi limitai a fissarlo negli occhi, ferma.
— Sai cosa, Marco? Faccio un salto in bagno. Tu pensa a come risolverla.
Entrai, uscì dal retro. Presi un taxi. A casa, mi misi il pigiama e ordinai una pizza. Per me sola.
Il giorno dopo, Marco mi scrisse:
“Non ci posso credere che mi hai lasciato lì da solo! Vergogna!”
Gli risposi con un messaggio secco:
“Hai ragione, ho dimenticato qualcosa anch’io. La pazienza.”
Non lo rividi più. Ma non dimenticherò mai quella pizza sul divano, che sapeva di libertà.