Un mese era passato da quando Araks aveva lasciato il davanzale per la prima volta. Avevo ormai smesso di aspettarlo ogni mattina, sebbene gli avessi lasciato una ciotolina d’acqua e qualche briciola sul balcone, come un rito silenzioso di gratitudine.
Ma proprio trentuno giorni dopo, qualcosa cambiò.
Quella mattina l’aria era immobile, e la città sembrava trattenere il fiato. Appena sveglio, scostai le tende e il cuore mancò un battito: Araks era lì. Ma non era solo.
Sotto di lui, posato con cura sul ferro del davanzale, c’era un oggetto. Sembrava antico, un medaglione ovale con incisioni indecifrabili. Araks gracchiò due volte, poi volò via. Lo presi tra le mani. Era freddo come la pietra, ma pulsava. Sì, pulsava. Come se fosse vivo.
Cercai di capire cosa fosse, ma ogni ricerca si concludeva con un nulla di fatto. Nessuna immagine simile online, nessuna simbologia nota. Solo una cosa notai: quando lo toccavo, la stanza cambiava. L’aria diventava più densa. Le ombre si allungavano.
Poi cominciarono i sogni. Ogni notte, uno scenario diverso. Bosco. Nebbia. Figure incappucciate. E la voce. Una voce sottile come il bisbiglio del vento tra le foglie:
“Non dire la parola.”
Quale parola?
Una sera, esasperato, gridai nel buio:
— Cosa vuoi da me?!
E allora Araks apparve. Non sul davanzale, ma dentro. Nella mia cucina.
Mi fissò con occhi neri e lucidi. E poi… parlò.
Sì. Parlò.
La voce era graffiata, profonda, non del tutto umana:
— La parola è ciò che lega. Se la pronunci, nulla sarà più tuo. Né i ricordi, né la mente. Né il tempo.
Rimasi senza fiato.
— Cos’è questo medaglione? — chiesi.
— È ciò che hai meritato salvandomi. Ma non appartiene a questo mondo. Tienilo, se sei disposto a ricordare ciò che è stato dimenticato.
— E se lo pronuncio?
— Allora li vedrai. Quelli che si muovono tra i rami quando credi che sia solo il vento.
Mi svegliai sudato. Il medaglione era ancora lì.
Da quel giorno, vivo con il medaglione chiuso in una scatola di ferro, sepolto sotto mattoni e sabbia nel mio scantinato. Non l’ho più toccato.
Ma ogni tanto, quando fuori si fa buio troppo presto e i corvi si posano in fila sul mio tetto, sento una voce nel vento che sussurra… una parola che non si può dire ad alta voce.