Meghan non era abituata a sentirsi dire di no. Ex modella, influencer con un seguito solido, era cresciuta nell’idea che bastasse un sorriso e un nome buttato lì per ottenere qualsiasi cosa. Quel venerdì sera, però, qualcosa stonava. Nessuno si alzò in piedi per accoglierla, nessun cameriere corse a spostare sedie o a improvvisare un tavolo in terrazza. C’era solo quella ragazza sorridente — troppo calma, troppo padrona della situazione.
Quando fu accompagnata nel retro, Meghan non protestò subito. Era convinta si trattasse di un malinteso temporaneo. Ma bastò vedere il tavolo vicino alla dispensa e il “cocktail della casa” per cominciare a sospettare. Qualcosa non tornava.
Meghan era pronta a scattare in piedi, minacciare recensioni negative e telefonate velenose, ma qualcosa la trattenne: l’eleganza composta con cui la proprietaria — sì, proprio quella ragazza — la guardava negli occhi. Non c’era rabbia. Solo consapevolezza. E forse, pietà.
«Sai chi ero?» chiese Meghan, dopo aver sorseggiato l’acqua con lime.
«No,» rispose la proprietaria. «Ma ora so chi sei.»
Silenzio.
«Ti ho fatto qualcosa, in passato?» chiese Meghan, un tono sincero per la prima volta.
«No. Ma a me, come a tante altre ragazze, hai insegnato che per contare dovevi essere come te: bella, arrogante, e pronta a calpestare. Quando ho aperto questo ristorante, ho giurato che ogni persona avrebbe avuto il suo posto — senza chiedere permessi speciali.»
Meghan abbassò lo sguardo. Il ronzio del locale sembrava lontano.
«Il tavolo delle verità, lo chiamiamo così qui dietro,» aggiunse la proprietaria con un mezzo sorriso. «Ci finiscono solo quelli che hanno qualcosa da capire.»
Meghan, per una volta, capì.
Al momento di andare via, lasciò una mancia generosa e nessun commento velenoso. Prima di uscire, si voltò verso la proprietaria.
«Bel posto. Tornerò. Con prenotazione.»
E stavolta, il sorriso era autentico.