Tornavo a casa dopo un lungo turno di lavoro quando un suono interruppe la quiete: un pianto acuto e disperato.

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Era una notte piovosa, la strada deserta sembrava avvolta in un silenzio inquietante. Mi fermai di colpo, cercando di capire da dove provenisse. Guardai verso la casa accanto, quella di Ellie, la mia vicina di casa. Là, sotto la luce fioca della veranda, c’era una culla.

Il cuore mi balzò in gola. Mi avvicinai rapidamente, il pianto si faceva sempre più forte. Dentro la culla c’era un neonato, uno scricciolo che piangeva senza sosta. Non ci pensai due volte. Senza esitare, suonai il campanello di Ellie, sperando che fosse lei a dover occuparsi di quel bambino, ma la casa era deserta. Nella fretta di decidere cosa fare, sollevai il piccolo tra le braccia e lo strinsi a me, cercando di calmarlo.

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Nei giorni seguenti, la situazione si fece chiara: Ellie non sapeva nulla, il bambino non era suo. La decisione fu presa all’istante: avrei adottato quel piccolo che il destino aveva posto sulla mia strada. Lo chiamai Matteo.

I primi anni furono una montagna russa, ma l’amore che provavo per lui cresceva ogni giorno. Quando Matteo compì tredici anni, arrivò il momento di dirgli la verità. Lo guardai negli occhi e gli dissi tutto: come l’avevo trovato quella notte, come lo avevo preso tra le braccia e l’avevo amato come se fosse mio figlio. La sua reazione fu mista tra sorpresa e curiosità.

Decidemmo di partire insieme alla ricerca dei suoi veri genitori. Non avevo idea di cosa avremmo scoperto. Ma ciò che trovammo cambiò per sempre la nostra vita. Le risposte che cercavamo non erano quelle che avevamo immaginato, ma ci avrebbero portato a una rivelazione sconvolgente, qualcosa che nessuno di noi avrebbe mai potuto prevedere.