Matteo sembrava sollevato dalle parole della madre, ma Paolo non lasciò cadere la questione

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Quando Matteo aprì la porta di casa, Paolo capì subito che qualcosa non andava. Aveva il volto contratto, lo sguardo perso, come se avesse lasciato una parte di sé fuori sul pianerottolo.

«Papà, devo parlarti. È importante.»

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Sedettero in cucina. Anna, dall’altra stanza, guardava una soap opera con il volume alto. Paolo spense la radio sul bancone e attese.

«È Luisa. La vicina. È incinta.»

Paolo lo fissò, immobile. Poi annuì lentamente. «È tuo?»

Matteo abbassò lo sguardo. «Dice di sì. E probabilmente… lo è.»

«Allora sposala.»

Matteo spalancò gli occhi. «Sei serio? Papà, sono giovane. È stato solo un errore. Non siamo nemmeno stati insieme più di qualche settimana. Non eravamo una coppia, non ci amiamo. Non posso… legarmi così.»

In quel momento, Anna fece il suo ingresso, richiamata dalle voci.

«Che succede?»

«Nostro figlio ha messo incinta una ragazza e non vuole sposarla», disse Paolo, tagliando corto.

Anna incrociò le braccia. «E fa bene. Luisa? Quella che abita al primo piano? Guarda caso rimane incinta del figlio della famiglia più decente del palazzo. Ma va’, Paolo. Non essere ingenuo. Queste ragazze sanno quello che fanno.»

Matteo sembrava sollevato dalle parole della madre, ma Paolo non lasciò cadere la questione.

«E se davvero quel bambino fosse tuo nipote, Anna? Cosa facciamo, facciamo finta che non esista?»

Anna si irrigidì. «Che faccia il test del DNA. Poi vediamo.»

Il test fu fatto. Tre settimane più tardi, il risultato arrivò: Matteo era il padre, senza dubbio.

Quando Paolo lo lesse, si sedette in silenzio sul divano. Poi chiamò Anna, mostrandole il foglio.

Lei lo lesse, poi lo posò sul tavolo come se bruciasse.

«Bene, è suo figlio. Ma questo non cambia niente. Non mi faccio rovinare la vita da questa storia. Non la voglio in casa, né lei né il bambino. Matteo ha una vita davanti. Non può buttarla via per un errore.»

Matteo non disse nulla. Si limitò ad annuire.

Paolo si alzò, lentamente. Il suo volto era calmo, ma le mani tremavano leggermente.

«Se avete preso una decisione, ascoltate la mia.»

Li guardò entrambi, uno dopo l’altro.

«Io non ho avuto nessuno quando ho dovuto scegliere. Ma ho scelto. Ho scelto voi. E non mi sono mai pentito. Ora tocca a me di nuovo.»

Fece una pausa. «Quel bambino non ha colpe. È sangue nostro. E finché avrò fiato nei polmoni, saprà che almeno uno nella sua famiglia ha scelto di esserci.»

Tre mesi dopo, Paolo comprò un piccolo appezzamento fuori città. Ci fece costruire una casetta. Quando Luisa partorì, fu lui a portarla a casa. Matteo non c’era. Non mandava denaro, non chiedeva notizie. Anna non nominava mai il bambino.

Ma ogni mattina, Paolo si svegliava, scaldava il latte, e svegliava il piccolo Tommaso con un sorriso. Gli leggeva storie, lo accompagnava al parco, gli insegnava a dire “nonno”.

E ogni volta che qualcuno chiedeva dove fosse il padre, Paolo rispondeva sempre lo stesso:

«Un giorno capirà. Intanto, io sono qui.»