Era stata una giornata lunga, come tutte ultimamente. Il tempo sembrava dilatarsi dentro quella casa che non sapeva più di vita. La malattia di mamma consumava non solo il suo corpo, ma anche tutto ciò che le girava intorno — compresa Violet.
Con il fiato corto e la stanchezza che le annebbiava i pensieri, Violet si accasciò sul divano, il portatile sulle ginocchia. Aveva installato quelle telecamere di nascosto due settimane prima, stanca di sentire la madre lamentarsi per la sparizione di piccoli oggetti — una spilla, un braccialetto, dei contanti. E poi gli orecchini d’oro, gli unici che la madre non avrebbe mai regalato a nessuno.
Era sicura che fosse Jane. Tutti i segnali indicavano lei.
Aprì la cartella delle registrazioni. Erano tante, noiose per lo più — Nancy che sistemava, mamma che sonnecchiava sulla poltrona, lei stessa che puliva e sistemava. Ma poi, una notte, qualcosa attirò la sua attenzione.
Era l’una e mezza del mattino. L’immagine tremava lievemente — la qualità non era delle migliori. Si vedeva chiaramente la porta d’ingresso socchiudersi lentamente, senza rumore.
Una figura entrava in casa. Un’ombra alta, silenziosa. Indossava guanti. Non accese le luci.
Non era Jane.
Violet si irrigidì. Quella camminata, quel modo di controllare ogni angolo — non era la sorella. Ma non era nemmeno un ladro improvvisato. La figura si diresse in camera da letto, sollevò la scatola dei gioielli dal cassetto senza nemmeno esitazione. Sapeva dove cercare.
Poi accadde qualcosa di surreale: la figura si fermò davanti alla telecamera, alzò la testa — e si tolse il cappuccio.
Era Nancy.
Ma non la Nancy gentile e sempre un po’ distratta che conosceva. Il suo volto era teso, lucido di sudore, e i suoi occhi… freddi. Calcolatori.
Violet ebbe un conato.
Non riuscì a dormire quella notte. Il giorno dopo aspettò che Nancy arrivasse per il turno pomeridiano. Non disse nulla. Osservò ogni suo gesto.
Poi, mentre la madre riposava, la affrontò.
«Perché l’hai fatto?»
Nancy impallidì. Non chiese nemmeno “di cosa parli”, come avrebbe fatto chiunque preso alla sprovvista.
«Mi servivano i soldi», disse con voce roca. «Per mio figlio. Non sapevi nemmeno che avevo un figlio, vero?»
Violet non rispose. Era vero.
«Jane non ha rubato nulla. È stata solo… assente. Ma almeno non ha mentito.»
Quella sera, Violet telefonò a sua sorella.
«Puoi venire da mamma domani? Vorrei parlarti.»
Ci fu un attimo di silenzio. Poi la voce di Jane arrivò, stanca ma sincera: «Sì. Verrò.»
La fiducia non tornò subito. Ma da quel giorno in poi, qualcosa cambiò tra loro. Forse la verità aveva finalmente liberato spazio per qualcosa di più importante: la riconciliazione.