Era una mattina d’inizio settembre, il cielo era limpido sopra la costa frastagliata di Porto Ermo, un villaggio di pescatori dimenticato dal turismo ma mai abbandonato dal mare. Le barche ondeggiavano pigre e i gabbiani stridevano sopra le reti appena tirate a riva.
Bruno e Nanni, due fratelli sulla sessantina, pescavano insieme da sempre, legati non solo dal sangue ma da un silenzio complice costruito su anni di onde e tempeste. Quella mattina, però, fu il silenzio a rompere sé stesso.
«Guarda là…» mormorò Bruno, puntando un dito ruvido verso l’acqua.
Nanni strizzò gli occhi e vide qualcosa: un piccolo corpo che nuotava con fatica verso la riva. Le zampe si muovevano in modo disordinato, ma ostinato. Era un gatto. Un gatto tigrato, zuppo, con gli occhi spalancati di terrore e determinazione.
«Che diavolo ci fa un gatto in mare?»
Bruno non rispose. Si tolse il maglione e si tuffò. Il gatto scomparve per un attimo, poi riapparve, sempre più vicino alla barca. Lo raggiunse appena in tempo. Quando lo sollevò, il piccolo corpo si lasciò andare come un fazzoletto bagnato, esausto.
Lo portarono a terra, lo avvolsero in una vecchia maglietta e gli fecero una cuccia di fortuna nel capanno degli attrezzi. Ma il gatto non dormiva. Guardava il mare. Come se aspettasse qualcosa.
I giorni passarono. Lo chiamarono Ferro, perché nessun altro animale, secondo loro, avrebbe potuto nuotare così lontano con quella forza. E perché, nonostante tutto, non faceva le fusa, non cercava carezze. Solo dormiva e mangiava e, di tanto in tanto, tornava a guardare l’orizzonte.
Un pomeriggio, una ragazzina arrivò al porto, accompagnata da un uomo. Portava in mano una vecchia foto. Mostrava un gatto identico a Ferro, in braccio a una bambina sorridente, con dietro il mare.
«Il nostro traghetto si è ribaltato tre giorni fa…» disse l’uomo con la voce rotta. «Lui era con noi. Pensavamo fosse affogato.»
Il gatto si sollevò. Si avvicinò alla bambina e le leccò la mano. Poi si accovacciò lì, accanto a lei, come se nulla fosse.
Bruno e Nanni restarono a guardarli in silenzio.
«Hai visto, Bruno?» disse infine Nanni. «Quel gatto non stava nuotando per salvarsi. Stava tornando.»