C’era qualcosa nell’aria quella mattina, come una tensione sospesa tra le nuvole basse e il silenzio troppo carico della cucina. Il telefono vibrò con insistenza sul piano di marmo. Lo fissai per un attimo, il cuore già contratto in un presagio muto. Risposi.
— «Non hai idea di cosa sia successo,» dissi, cercando di mantenere un tono neutro. «Ho appena parlato con mio padre. È un disastro.»
Dall’altra parte della linea, la voce di Riccardo tardò a farsi sentire.
— «Che tipo di disastro?»
— «La ditta è sull’orlo della bancarotta. I debiti sono esplosi. Hanno deciso di vendere la casa di famiglia.»
Seguì un breve silenzio. Poi lui rispose, con un tono che mi lasciò un retrogusto amaro:
— «Beh… finché stanno tutti bene, il resto si sistema. I soldi vanno e vengono.»
Chiusi gli occhi. La sua voce era calma, ma troppo fredda. Finta. Non era preoccupazione, era una fuga.
Quando ci eravamo incontrati, Riccardo mi era sembrato magnetico. Il tipo d’uomo che sa ascoltare e sa come far sentire speciale una donna. Il nostro primo incontro era stato in una libreria: aveva finto di cercare lo stesso romanzo che stavo tenendo in mano. Poi caffè, messaggi notturni, dichiarazioni veloci. Sembrava troppo perfetto. E quando iniziarono le domande sulla mia famiglia, sulle proprietà, sull’azienda di mio padre, cominciai a sentirmi osservata più che amata.
— «Tuo padre lavora ancora nell’edilizia, vero?»
— «Sì, e mia madre si occupa di design di interni.»
Ogni informazione che davo sembrava accumularsi nella sua mente come dati utili.
Poi arrivò la proposta. Un anello vistoso, una cena elegante, parole dolci. E io, pur sorridendo, sentivo crescere dentro una voce che diceva: “Aspetta.”
Fu la mia amica Claudia, avvocata e pragmatica, a suggerire la prova.
— «Inventiamo un crollo finanziario. Se ti ama, resta. Se no… meglio scoprirlo adesso.»
Così iniziai a mettere in scena il crollo. Telefonate inventate, conti in rosso, l’annuncio che il matrimonio doveva essere rimandato.
Riccardo non prese bene la notizia. Non esplose, ma cambiò. Divenne freddo. Infastidito. Lo vidi chiudersi, come se il mio valore si fosse improvvisamente ridotto.
— «Certo, capisco. Se dobbiamo aspettare… aspettiamo.»
La sera dopo, gli dissi che avrei venduto l’auto e lasciato il mio appartamento per uno in affitto. Guardò il piatto come se fosse diventato improvvisamente insipido. Nessun abbraccio. Nessun “ti sono vicino”.
Il giorno seguente non si fece sentire. Poi, in serata, arrivò un messaggio:
“È un momento complicato anche per me. Devo partire per lavoro. Ne parliamo al mio ritorno.”
Ma il ritorno non arrivò mai.
Tre giorni dopo, Claudia mi mandò lo screenshot del suo profilo social: “Single. Aperto a nuove connessioni.” Nessun confronto. Nessuna scenata. Solo silenzio. Io restituì l’anello per mezzo di un amico comune, e chiusi la porta.
Un mese più tardi, lo vidi con una nuova ragazza. Bella, giovane, figlia di un noto imprenditore locale. Riccardo non aveva perso tempo.
La vita però è sorprendente.
Qualche mese dopo conobbi Elia. Niente sfarzi, nessuna dichiarazione teatrale. Solo conversazioni sincere, lunghe passeggiate e un rispetto silenzioso che cresceva ogni giorno.
Non mi chiese mai che lavoro facesse mio padre. Né quanto guadagnassi. Gli interessava il mio libro preferito, il mio colore del cielo, il mio modo di ridere.
Quando gli raccontai del test che avevo fatto con Riccardo, mi guardò serio. Poi sorrise piano e disse:
— «Hai fatto bene. Le maschere si tolgono solo con la verità.»
Ora siamo insieme. Senza prove da superare. Senza ruoli da recitare.
E per la prima volta dopo tanto tempo, sento che il mio cuore non ha bisogno di protezioni.
Solo di essere amato. Per ciò che è.