Le mani rugose di Lidia stringevano con forza una tazza ormai fredda di tè. Trentadue anni di matrimonio, migliaia di cene condivise, infinite camicie lavate, e ora si ritrovava sola in quella cucina impregnate di ricordi ovunque.
«Non capisco, Vitya,» sussurrò, la voce tremolante come una corda tesa. «Tu… te ne vai così, senza spiegazioni?»
Victor, con calma e precisione, riponeva i suoi averi in una valigia logora, come se quel gesto fosse diventato un’abitudine. Ogni movimento sembrava lento, quasi volesse darsi tempo per accettare l’irreversibile.
«Lida, entrambi sapevamo che sarebbe successo un giorno,» disse, con voce bassa. «Tra noi il sentimento è morto da tempo. Ora voglio vivere per me stesso. Ho sessanta anni e ancora tanto da scoprire.»
Un brivido scosse Lidia, come se un colpo l’avesse raggiunta improvvisamente. Trentadue anni di viaggi, teatri, compleanni e Capodanni – tutto svanito nel nulla.
«Quanti anni ha?» chiese, sapendo già la risposta.
«Trentacinque. Si chiama Katya. È… diversa. Capisci?»
«Più giovane di ventidue anni, è questo il punto?» Lidia sentì dentro di sé una lacerazione, come se i suoi sogni più cari venissero strappati.
«Non solo,» replicò Victor chiudendo la valigia con forza. «È piena di energia, ride forte e non si cura di contare ogni centesimo.»
«E io invece ho contato ogni soldo per comprare quell’appartamento, per mandare Masha all’università!» esclamò Lidia, con la voce che si alzava involontariamente.
«Vedi? Ancora urli. Io non ce la faccio più.»
Lei si morse le labbra. Era stata lei a gridare? Dopo trent’anni, questa era la sua accusa?
«Tornerò a prendere il resto delle mie cose. I documenti dell’appartamento sono dal notaio, cinquanta per cento ciascuno. Quindi non pensare nemmeno di prendere decisioni da sola.»
«Andrai da lei?»
«Sì, Lida. Da lei.»
Si diresse verso la porta, poi si fermò.
«Sai, forse è meglio così. Avrai modo di riposarti, di prendere le distanze. Magari capirai.»
Lidia lo guardò incredula.
«Capire me?», rise amaramente. «E tu capirai cosa provo io?»
«Sei forte, Lida. Ce la farai.»
La porta si chiuse alle sue spalle. Lidia rimase sola nell’appartamento, ogni tazza e ogni tendina scelti insieme ora sembravano raccontarle il vuoto che le lasciava.
Restò immobile finché il tè fu completamente freddo, poi scagliò la tazza contro il muro. Il suono della porcellana rotta echeggiò come un segnale.
«È tutto? Se n’è andato semplicemente?» La voce indignata di sua figlia Masha si levò dal telefono.
«Sì, ha preso le sue cose ed è andato da lei. Mi ha anche detto che ce la farei.»
«Mamma, è così egoista! Trentadue anni insieme!»
«Trentadue anni,» ripeté Lidia mentre osservava la loro foto di nozze.
Per quindici giorni, Lidia rimase quasi sempre in casa. Guardava il soffitto, sfogliava album fotografici, piangeva tutto il dolore possibile. Un mattino si svegliò con una nuova chiarezza.
«Ce la farò davvero,» disse al cuscino vuoto accanto a sé.
In quello stesso giorno chiamò Nina, un’amica avvocato.
«Lida, non abbiamo molto tempo. Se parla già di divisione è perché Katya lo ha influenzato.»
«Cosa devo fare?» chiese Lidia con determinazione.
«Trasferisci la tua quota dell’appartamento a Masha. E anche i risparmi…»
Lidia ascoltava, prendeva appunti. Quel giorno stesso andò in banca e prelevò metà del conto comune.
«Cinquanta per cento, Vitya. Te lo ricordi?»
«Signora Vorontsova, è certa di voler chiudere questo conto? È molto vantaggioso.»
«Assolutamente,» rispose calma, sorprendente persino per sé stessa.
Nei giorni successivi, corse tra avvocati, notai e banche. Firmava, fotocopiava e organizzava. Ogni documento finalizzato le restituiva un pizzico di controllo sulla situazione.
Un mese dopo, Victor la chiamò.
«Lida? Come stai?»
«Benissimo, Vitya.»
«Vorrei passare a prendere il resto delle mie cose. E… parlare.»
«Certo. Vieni. Possiamo anche cenare insieme, come una volta.»
«Davvero? Verrò alle 19.»
Dopo aver riattaccato, Lidia chiamò Nina.
«Verrà domani. Penso che le cose con Katya non siano andate bene.»
«Chiaramente. Si è stancata presto delle sue calze sporche,» scherzò Nina. «Sei pronta?»
«Tutti i documenti sono in ordine: divorzio, donazione a Masha, conti chiusi.»
«Lidochka, sei incredibile. Rimani forte.»
Il giorno dopo Lidia si sistemò i capelli, cosa che non faceva da tempo. Indossò il vestito azzurro che Victor amava e preparò il suo gratin di patate e funghi preferito.
Alle 19 lui suonò.
Victor appariva invecchiato. Rughe più profonde, capelli diradati, aroma di un profumo sconosciuto.
«Lida, sei splendida.»
Lei indicò il portabiti e tornò in cucina.
«Profuma bene,» osservò lui. «È il mio gratin preferito?»
«Ho pensato che potessimo rivivere un po’ del passato.»
Si sedettero e Victor giocherellava con la forchetta, a disagio.
«E tu? Come vivi?»
«Molto bene. Vado in piscina e frequento lezioni di italiano.»
«Italiano? Era il tuo sogno…»
«Lo sognavo da trent’anni, sì. E Katya?»
Victor tossì.
«È finita. Non era come pensavo. Troppo esigente. Voleva regali, ristoranti, dopo una settimana già si lamentava del comfort.»
«I giovani hanno aspettative diverse. Non era quello che volevi? Una donna ‘piena di vita’?»
Victor abbassò lo sguardo.
«Ho sbagliato. Me ne rendo conto. Queste settimane senza di te sono state un incubo.»
Lidia lo fissò senza provare rabbia o odio, solo stanchezza e un senso di libertà.
“A volte, la forza non nasce dalla rabbia o dal rancore, ma dalla serenità e dalla volontà di voltare pagina.”
«Possiamo sistemare tutto. Ricominciare.»
«Aspetta,» disse tornando a prendere una busta marrone.
«Cos’è?»
«Guarda.»
Victor scoprì i documenti: certificato di divorzio, atto di donazione a Masha, estratti conto.
Il suo volto cambiò: dapprima sorpresa, poi rabbia.
«Scherzi? Cos’hai fatto?»
«Mi sono protetta. Come hai detto tu, mi sono ‘arrangiata’.»
«Ma non è giusto! L’appartamento è di entrambi!»
«Lo era. Ho dato la mia quota a nostra figlia mentre eravamo ancora sposati. Il resto è tuo.»
«Hai divorziato senza di me?»
«E tu te ne sei andato senza di me. Volevi la libertà – eccola.»
Rimasero in silenzio. Poi Victor sussurrò:
«Non ce la farò da solo.»
«Puoi farcela. Chiunque può, se lo vuole.»
Fuori il vento muoveva le foglie, dentro la stanza la temperatura era tiepida. Per la prima volta dopo molto tempo, Lidia non aveva paura. Voleva vivere per sé, camminare al proprio ritmo, aprire la finestra senza chiedere permesso. Desiderava la libertà.
«Prova, Vitya. Non è inutile.»
Lui annuì lentamente, senza rabbia, senza speranza, solo un rassegnato “sì”.
«Me ne vado.»
«Lo so.»
Prima di uscire, Victor chiese:
«Posso restare stanotte? Sul divano, ovviamente.»
«No, Vitya. Non è più casa nostra.»
«Posso chiamarti a volte? Per sapere come stai?»
«Certo. Abbiamo vissuto troppo tempo insieme per diventare estranei.»
Alla porta si voltò e disse:
«Sei una donna incredibile, Lida. Me ne ero solo dimenticato.»
«Addio, Vitya.»
La porta si chiuse. Lidia si appoggiò un momento, poi prese il telefono.
«Masha? Sì, è venuto. Va tutto bene. Sai, e se anticipassimo il viaggio in Italia a dicembre invece che a gennaio? Sono pronta, amore mio. Davvero pronta.»
Fuori, la pioggia cadeva dolcemente. Lidia, invece, guardava le foto delle città italiane sul suo tablet con un sorriso, pronta ad affrontare il nuovo giorno senza timore.
In sintesi, questa vicenda racconta quanto la vita possa cambiare improvvisamente, ma anche la forza che nasce dalla consapevolezza e dall’autonomia. Lidia ha dimostrato che, anche dopo un grande tradimento, è possibile ritrovare la strada verso la libertà e la felicità personale, proteggendo ciò che conta davvero.